Il deserto di sale

Don Luis affonda la mano nel giubbotto in pelle consumato come un cerino ed afferra la chiavetta Usb: “La traversata del Salar de Uyuni – taglia corto con tono solenne – merita Tchaikovsky”.
Forse è la musica del maestro a meritarsi la meraviglia di un volo radente nella maestosità del deserto salato. Attacca con la “Marcia slava”, dissolvendola con il botto di cannone dell’Ouverture 1812. La malinconia dell’oboe tramonta con la dolcezza degli archi; poi è la potenza degli ottoni a prendersi la scena mentre lo sguardo resta incollato all’infinito che scorre oltre il finestrino. Non lo si attraversa, il deserto di Uyuni; lo si cavalca. Come Butch Cassidy e Sundance Kid in cerca di avventure. E lo si respira, a fondo. Sapore di sale con quel gusto un po’ amaro che hanno le cose perdute.

Solo andando da soli, in silenzio, senza bagagli,
si può penetrare veramente nel cuore del deserto
(John Muir)

Licanbur

Il profilo severo del Licancabur domina l’Atacama, tra la Bolivia e il Cile. Nel corso dei secoli ai piedi del vulcano che sorveglia il deserto di sale e le lagune sono fioriti miti e leggende di popolazioni scomparse, cancellate dall’incedere del tempo e dei conquistadores. Una di esse racconta la vana resistenza delle genti di Tupayin davanti ai colonizzatori. L’avanzata nel nuovo mondo degli spagnoli stava ormai sgretolando l’antico sistema incaico, lo stesso che a sua volta aveva calpestato i primi indigeni dell’area. Tupayin era una delle porte d’accesso al sud andino e nella pukara retta dal signore della regione si dovettero dare appuntamento i migliori guerrieri rimasti fedeli al Gran Inca. Gente pronta a sacrificare la propria vita in difesa del vasto regno costruito pietra su pietra dal Figlio del Sole. Dentro le loro corazze scintillanti, i conquistadores macinavano leghe senza tregua, lasciandosi alle spalle una scia di sangue e macerie. Anche a Tupayin la vittoria era ormai in pugno. Fu a quel punto che per arrestare la marcia degli invasori, i guerrieri andini scrutarono il cielo: secondo la credenza, l’ultima freccia a disposizione doveva essere scagliata verso il sole, che una volta colpito avrebbe scatenato una pioggia di dardi infuocati contro i nemici degli inca. La freccia scoccata dall’arciere salì rapida verso il disco solare ma poi ricadde solitaria nel mezzo del campo di battaglia, segnando le sorti dell’indomito pugno di resistenti. Fu il segnale riservato dal destino agli spagnoli, che annientarono la pukara di Tupayin e proseguirono la loro espansione verso le terre dove soffia il vento perenne.

Sulla strada di Montichiello

Monticchiello è cuore e anima del sentiero che da Pienza conduce a Montepulciano. Uno borgo sospeso nel tempo che sembra uscito da un racconto cavalleresco. Monticchiello è anche un teatro all’aperto dove si narrano drammi e favole. Come nella vita. Le sue strade, i vicoli, l’emporio, la piazza sono il palcoscenico sopra il quale la comunità porta in scena se stessa. Lo chiamano Teatro Povero sebbene arricchisca l’animo di tutti.

Arte bianca

Il pane nacque proprio qui 👉 in Egitto, nel III millennio a.C. Anticamente cotto in otri di terracotta o sotto la cenere è nutrimento per il corpo e lo spirito. Queste donne di Saqqara conoscono ancora l’arte lenta della panificazione. La sapienza delle mani che impastano, l’attesa della lievitazione, la liturgia della condivisione. Acqua, sale, lievito. Gli ingredienti della vita.