Licanbur

Il profilo severo del Licancabur domina l’Atacama, tra la Bolivia e il Cile. Nel corso dei secoli ai piedi del vulcano che sorveglia il deserto di sale e le lagune sono fioriti miti e leggende di popolazioni scomparse, cancellate dall’incedere del tempo e dei conquistadores. Una di esse racconta la vana resistenza delle genti di Tupayin davanti ai colonizzatori. L’avanzata nel nuovo mondo degli spagnoli stava ormai sgretolando l’antico sistema incaico, lo stesso che a sua volta aveva calpestato i primi indigeni dell’area. Tupayin era una delle porte d’accesso al sud andino e nella pukara retta dal signore della regione si dovettero dare appuntamento i migliori guerrieri rimasti fedeli al Gran Inca. Gente pronta a sacrificare la propria vita in difesa del vasto regno costruito pietra su pietra dal Figlio del Sole. Dentro le loro corazze scintillanti, i conquistadores macinavano leghe senza tregua, lasciandosi alle spalle una scia di sangue e macerie. Anche a Tupayin la vittoria era ormai in pugno. Fu a quel punto che per arrestare la marcia degli invasori, i guerrieri andini scrutarono il cielo: secondo la credenza, l’ultima freccia a disposizione doveva essere scagliata verso il sole, che una volta colpito avrebbe scatenato una pioggia di dardi infuocati contro i nemici degli inca. La freccia scoccata dall’arciere salì rapida verso il disco solare ma poi ricadde solitaria nel mezzo del campo di battaglia, segnando le sorti dell’indomito pugno di resistenti. Fu il segnale riservato dal destino agli spagnoli, che annientarono la pukara di Tupayin e proseguirono la loro espansione verso le terre dove soffia il vento perenne.

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